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Lago di Vico, una sentenza obbliga la regione Lazio a difendere la salute dei cittadini
La sentenza del Consiglio di Stato sul lago di Vico obbliga la regione Lazio ad attivarsi in difesa del bacino idrico inquinato dalla coltivazione intensiva di nocciole.
- ClientEarth e Lipu hanno accusato le autorità del Lazio di non aver difeso il lago di Vico dall’inquinamento e la salute dei cittadini che si affacciano sul bacino idrico.
- Il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’inerzia delle autorità competenti.
- La regione Lazio ha 60 giorni per attivarsi in difesa della salute dei suoi cittadini.
Un anno dopo la notifica dei primi ricorsi alle amministrazioni, la battaglia legale intrapresa da ClientEarth e Lipu in difesa del lago di Vico e delle comunità di Ronciglione e Caprarola in provincia di Viterbo inizia a dare i suoi frutti. Il Consiglio di Stato ha infatti obbligato la regione Lazio a intervenire in difesa della salute dei cittadini.
Le due associazioni avevano accusato le autorità competenti di non aver adottato le misure necessarie per evitare il degrado degli habitat protetti nel sito Natura 2000 del lago di Vico, degrado che le associazioni stesse riconducono agli impatti delle attività agricole intensive del territorio, in particolare dalla monocoltura delle nocciole.
Riconoscere l’inquinamento del lago di Vico
Nel mese di febbraio, il giudice amministrativo del Tar del Lazio aveva respinto i ricorsi relativi all’acqua potabile e alla conservazione degli habitat, ma ClientEarth e Lipu avevano deciso di fare appello al Consiglio di Stato. Il risultato di questo ricorso in materia di acque è stato dunque una sentenza definitiva che ha riconosciuto l’inerzia delle autorità competenti e ha obbligato la regione Lazio ad esercitare i poteri sostitutivi per garantire la tutela delle acque destinate al consumo umano nella zona.
Che in pratica significa che, dal momento che non sono intervenute le amministrazioni locali di Ronciglione e Caprarola, ci dovrà pensare la regione, predisponendo un piano di azioni correttive e preventive per ridurre il rischio di inquinamento delle acque. Su questa linea, inoltre, le autorità della regione Lazio sono state anche richiamate per non aver identificato l’area come zona vulnerabile ai nitrati, nonostante la grave eutrofizzazione in atto nel lago.
Colpa della monocoltura delle nocciole
Numerosi studi e ricerche hanno dimostrano che la coltivazione intensiva delle nocciole nell’area ha prodotto l’inquinamento delle acque del lago. A destare particolare preoccupazione sono le alghe rosse che fioriscono in determinati periodi dell’anno e tolgono ossigeno al bacino idrico, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza della flora e della fauna, e rilasciano sostanze chimiche cancerogene e tossiche, che non possono essere rimosse mediante i normali processi di purificazione.
Enti e associazioni locali segnalano da tempo la necessità di un cambio di passo nei metodi agricoli prevalentemente applicati nella zona. Infatti, i principali responsabili del sovraccarico di nutrienti che favorisce la presenza delle alghe sarebbero i fertilizzanti utilizzati nelle aree agricole che circondano il lago caratterizzati per lo più dalla coltivazione intensiva delle nocciole. Le piantagioni coprono infatti più di 21.700 ettari nella regione, presentandosi lungo le sponde del lago di Vico come una monocultura.
La produzione di nocciole, attività storicamente redditizia, è aumentata in tutto il Lazio negli ultimi 50 anni. La regione è stata in anni recenti coinvolta anche nel “Progetto nocciola Italia”, nato in seno al gruppo Ferrero attraverso la controllata Ferrero hazelnut company. Nell’intento di garantire alla produzione del colosso dolciario un approvvigionamento di nocciole coltivate prevalentemente in Italia, il progetto ha come obiettivo quello di aumentare gli ettari dedicati alla coltivazione del nocciolo del 30 per cento entro il 2025. L’impatto ambientale e sanitario di questa coltivazione intensiva si estende anche ad altri bacini lacustri dell’Alto Lazio, come il Lago di Bolsena.
La regione ha 60 giorni di tempo
“Oltre a confermare e condannare l’inerzia delle autorità competenti, che si è protratta per anni, nel prevenire e contrastare il fenomeno della fioritura delle alghe tossiche”, afferma Francesco Maletto, avvocato di ClientEarth esperto di diritto dell’ambiente e della biodiversità, “la decisione riconosce indirettamente gli effetti deleteri che le monocolture possono avere sugli ecosistemi, che finiscono per riverberarsi sulle comunità locali, le quali, pur beneficiando economicamente di tali attività, ne risultano in ultima analisi gravemente danneggiate, insieme alla biodiversità”.
La regione Lazio ha ora 60 giorni di tempo per attivarsi, dando seguito al giudizio espresso dal Consiglio di Stato in materia di acqua potabile. Si attende invece ancora la sentenza in materia di conservazione degli habitat, in riferimento al secondo ricorso in appello presentato al Consiglio di Stato, altrettanto importante per un’area protetta come quella del lago di Vico. Da ClientEarth dicono che è ragionevole aspettarsi una sentenza per febbraio 2024.
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